Si chiude ad Ascoli Piceno la terza edizione di Cinesophia, il festival nazionale dedicato alla pop-filosofia del cinema dal tema Utopia e Distopia ma rimane un monito, quello di Angela Azzaro, caporedattrice de Il Dubbio, che sul palco del teatro ascolano ha centrato la sua riflessione su alcuni temi scomodi della nostra società in fermento. L’intervento della giornalista ha preso in carico una personalità che “il Novecento non lo ha solo raccontato in uno dei più bei film della storia del cinema italiano”, dice, “lo ha rappresentato, incarnato, vissuto, reso cinema”. Il grande regista Bernardo Bertolucci, scomparso lo scorso novembre a 77 anni, è stato il grimaldello per rovesciare stereotipi storico-culturali. la sua filmografia, squisitamente intimista, accompagnata da una sana dose di anticonformismo ha vinto la scommessa di portare sul grande schermo una società deformata e in costante trasformazione. Lasciandosi alle spalle il pettegolezzo che ha consegnato il regista alla gogna mediatica, la Azzaro vuole restaurare, fornendo una chiave di lettura originale, le pellicole di Bertolucci, gigante del cinema italiano che ha saputo rappresentare temi scottanti e trasgressivi, costringendo lo spettatore a sforzare l’occhio ‘pigro’ su tematiche attuali e per nulla scontate, come il cambiamento della concezione del ruolo della donna nella società. L’intervista a cura della redazione di Popmag.

                                                                                                            

Le donne riprese dalla lente di Bernardo Bertolucci hanno molte sfumature. In The Dreamers, ad esempio, il film ambientato nelle rivoluzioni del maggio francese, Isabel sembra essere contaminata da questi nuovi umori ideologici ed emancipatori. Non è un caso che sia proprio lei ad affacciarsi per prima alla finestra e a guardare la rivoluzione negli occhi: secondo lei la rappresentazione di Isabel ha un carattere rivoluzionario e femminista? O è solo un riflesso della fantasia sessuale maschile?

Penso ci siano entrambe le cose. Essendo un film diretto da un regista uomo è impossibile prescindere dallo sguardo maschile, sicuramente Bertolucci ha giocato con Isabel rendendo erotica la sua figura, ma non per questo limita la qualità della protagonista in quanto donna. Bertolucci riconosce il cambiamento e comprende che stanno avvenendo delle trasformazioni dal punto di vista ideologico e sociale. La rivoluzione più lunga degli anni del ’68, dati alla mano, è stata quella femminista e non è ancora finita. Il movimento delle donne ha cambiato non solo i connotati sociali, ma anche quelli ideologici e lavorativi ed è una rivoluzione che si va ramificando ancora oggi e che ha messo radici ben salde nel terreno della politica. Per questo, è importante non fermarsi e continuare a lottare.

Nel libro Amore e violenza Lea Melandri, una delle principali attiviste del movimento delle donne italiano, ci spiega che la parola «libertà» si modifica sensibilmente quando «si scoprono le tante «illibertà» che ci portiamo dentro, incorporate. Per le donne “libertà” è innanzitutto “libertà di essere”. Quanto è importante essere libere di essere donne, oggi?

 Lea Melandri è una delle più importanti femministe contemporanee italiane. Tutti i suoi studi riflettono il rapporto pubblico/privato e portare la sfera del privato nella dimensione pubblica è stata proprio una delle grandi azioni compiute dal femminismo negli anni ’70: la dimensione pubblica è fatta di donne in carne e ossa che non sono né migliori, né peggiori degli uomini: viviamo in un mondo in cui i ruoli sono stati costruiti storicamente. a strada, secondo il mio punto di vista, non è quella di dovere ad ogni costo attribuire alla donna un valore positivo attribuendole i connotati salvifici di un angelo , ma quella di rimettere in discussione tutto il modo di pensare, rivoluzionarsi dal punto di vista dell’interazione,e anche di riconoscere le tante menti di libertà che possono esistere in una società.

Sul palco ha affermato che: «l’utopia non è stasi ma possibilità di realizzare una trasformazione», ricollegandosi all’intervento di apertura del festival tenuto dal Sindaco Guido Castelli.

 Si, non sono d’accordo con Castelli: affermando che il progressismo ha creato promesse che sono state ripetutamente tradite, l’utopia si configurerebbe come un codice moralistico.  La caratteristica progressista del ‘68 è risultata, invece, un’alternativa necessaria contro le forze politiche conservatrici che , grazie all’atteggiamento dell’occultamento moralistico, hanno reso possibili forme di discriminazione sociale. Durante gli anni della contestazione, secondo me, si sono  incontrate tre possibilità di trasformazione: quella marxista, quindi sociale, quella individuale e quella che nasce dall’unione di queste ultime: la trasformazione dei rapporti uomo – donna, dalla quale è nato proprio il femminismo. La trasformazione è positiva e bisogna accoglierla con serenità, senza alienarla o esorcizzarla. Un vero rivoluzionario della lotta contro ogni forma di discriminazione è stato Franco Bsaglia, promotore della riforma psichiatrica e fautore delle legge 180. Lui ha cambiato le carte in tavola e ha guardato le cose da un’altra prospettiva, conferendo di nuovo dignità agli ultimi, alle persone che erano considerate neglette.C’è una frase di Basaglia che mi piace ripetere spesso nelle interviste,  Parafrasando: non c’è concetto di normalità che tenga, tutti noi siamo degni di essere considerati persone. Utopia è progressismo, è trasformazione hic et nunc.

 

Sempre Castelli ha detto che l’ultima forma di utopia è il politically correct poiché cerca di rendere possibili ideali che collidono con la realtà umana. Perché?

 Neanche su questo ci troviamo d’accordo. Castelli fa coincidere il politicamente corretto con l’immobilismo, la stasi e confonde quello che chiamiamo “cambiamento”, con l’irrompere dei nuovi soggetti che dal ’68 in poi sono entrati nella scena politica: i giovani, le donne, gli operai,tutti coloro che sono stati esclusi dal consesso pubblico e che, oggi, diventano protagonisti. Il Sindaco ha affermato che: il politicamente corretto non esiste. Non è vero, esiste, perché si sta parlando di soggetti in carne ed ossa che hanno diritti anche e soprattutto grazie alla rivoluzione del ’68 e io sento di schierarmi a favore del politicamente corretto se è un argine alla barbarie che sta arrivando. Viva il politicamente corretto! Potrà forse rappresentare  l’affermazione di uno stereotipo, potrà essere considerato moralistico: ma se dall’altra parte trovo il nulla, allora mi tengo il politicamente corretto. Cosa ci propongono altrimenti? Una società che critica il politicamente corretto afferma il qualunquismo, il razzismo, il giustizialismo.

I giovani d’oggi sono in grado di lanciarsi in campo e giocare la partita?

Sicuramente c’è un trend negativo e il tentativo è quello di sopprimere qualsiasi forma di contestazione. La mia posizione rimane quella di spronare i giovani a prendere in mano il loro futuro, nonostante le imposizioni della società. Tuttavia colgo una grande irrequietezza e un grande fermento nelle giovani menti, e questo mi dona speranza e fiducia. Non bisogna mai dimenticare che chi lotta per il proprio futuro, lotta per la propria felicità, e la felicità non si può ottenere se si impedisce alla società di trasformarsi e di andare incontro al cambiamento.

(FOTO di Cecilia De Dominicis)

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