Il Forgotten Project nasce a Roma nel 2015 per risvegliare, grazie alla Street Art, l’attenzione dei cittadini su alcuni edifici che rischiano di essere “dimenticati”. Ex-mercati rionali, fabbriche in disuso e stazioni abbandonate sono infatti esempi di luoghi pubblici che ci interrogano circa le loro possibilità di recupero e conversione. La seconda edizione del Forgotten si è aperta a marzo con l’opera “I still remember how it was before” del britannico MyDogSighs, realizzata sul muro del Nuovo Regina Margherita di Trastevere, struttura ospedaliera in attesa di una nuova finalità d’uso.

L’artista ha raffigurato 540 occhi riflettenti lo skyline di Roma e le silhouette di persone nate, curate o morte all’interno del Nuovo Regina Margherita, nel tentativo di fissare un legame tra l’antica funzione dell’edificio e la comunità urbana che lo ha vissuto. Secondo gli organizzatori del Forgotten, la Street Art infatti non è un semplice mezzo di “gentrificazione” delle periferie, ma un modo per invitare i cittadini alla riflessione sullo spazio urbano che li circonda. Tra memoria e tentativi di immaginare nuove funzioni sociali-aggregative per le aree urbane dimenticate, perché la street art può raccontare a sua volta contribuire ai cambiamenti delle nostre città?

Tornando all’opera di Trastevere, gli occhi di MyDogSighs spalancano i muri del vecchio ospedale, facendo si che questi diventino luogo di comunicazione tra i cittadini, i loro spazi e la loro storia quotidiana. Gli occhi sono infatti specchi in cui l’osservatore può affacciarsi, riflettendosi e riflettendo su una narrazione collettiva, secondo un processo che è insieme di identificazione e di messa-in-discussione. Proprio perché pieni del nostro passato, in quegli occhi possiamo riconoscerci e dunque interrogarci sul futuro.

Del resto, la caratteristica peculiare della street art è proprio quella di porre l’uno accanto all’altra due accezioni opposte di “esperienza”. Da una parte la strada rimanda all’esperienza come quotidianità, routine, abito: la strada è ciò che percorriamo senza vedere, perché la strada, in quanto è strada, è ciò che ci è del tutto familiare. Dall’altra l’arte suggerisce un’idea di esperienza come stupore, novità, trauma: l’arte è ciò che si offre allo sguardo proprio per essere vista, è ciò di cui non sappiamo mai tutto anche se l’abbiamo già vista tante altre volte. La Street Art è così ciò che connette queste due modalità dell’esperienza, l’ordinario e lo straordinario, la memoria indifferente (così simile alla dimenticanza!) e l’attenzione eccitata.

L’arte “per strada” c’è sempre stata: complessi scultorei nelle piazze, facciate delle chiese o di edifici istituzionali… ma mentre in questi casi l’arte distingueva degli spazi urbani di per loro stessi “straordinari”, la Street Art irrompe indifferente al valore oggettivo dei luoghi in cui si colloca. Può avvenire ovunque. Non sarà così il mezzo della rappresentazione dello straordinario, ma dirà essa stessa la straordinarietà nell’/dell’ordinario. Legandosi ad uno spazio e ad una comunità, sarà l’arte stessa a far emergere e a investire di nuovo valore simbolico anche ciò che è stato dimenticato, anche ciò che sembra “non servire più”.

Illuminando l’ordinario più oscuro e dimenticato, la Street Art può modificare il nostro rapporto con i cambiamenti del tessuto urbano. Come può contribuire alla costruzione di un riconoscimento collettivo e ad un rapporto più consapevole tra cittadini e quartieri, così può spingere ad agire sui mutamenti della città. Infondo ciò che è bello ha sempre avuto la forza di riunire ed aggregare gli uomini attorno a sé, diventandone insieme memoria e strumento per progettare il futuro.

Andrea Ferretti è laureato in filosofia con una tesi sul Senso Comune nel pensiero di G. B. Vico. È appassionato di calcio, folklori contemporanei e giochi di ruolo.

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